22 aprile 2025
Alla ricerca di un caffè per fare colazione, attraversiamo le vie di Orgosolo, decorate dei suoi famosi murales. Dei murales io in realtà non sapevo niente fino ieri, quando Anna, al telefono con il suo Giova e ormai rassegnata ad una inevitabile comunicazione in vivavoce, ci ha fatto notare che varrebbe la pena di visitarlo il paese.
– La gente ci va apposta da tutta Italia! E voi che siete lì attaccati non ci passate neanche?”
Ribattere che “passare” da qualche parte durante un viaggio a bici cariche in zone montane può significare non poco investimento di tempo e energie non ci vale alcuna compresiva esenzione dal poco velato rimprovero per la nostra povertà d’interesse.
– Vabbeh…
Fortunatamente, Orgosolo si è venuta a trovare sul nostro itinerario dopo il cambio di programma. Così, scopriamo che i murales toccano i temi più disparati, dalla politica di attualità alle usanze del passato, e in una varietà di stili in cui mi avventuro a riconoscere cubismo e boterismo, tra gli altri.
Riabilitata quanto basta la nostra dignità culturale, facciamo scorta di cibo e lasciamo il paese per salire rapidamente fino ad un bellissimo altipiano dove i pascoli si susseguono popolati di cavalli, mucche e maiali, liberi di avvicinarcisi curiosi mentre facciamo pausa a un fontanile. La presenza dell’uomo si deduce solo per via degli animali addomesticati. Scenario bucolico da dizionario.
Passiamo in sterrato all’ingresso nella foresta di Montes, in località Funtana Bona. A dispetto delle previsioni, il cielo è completamente limpido. Il sentiero corre nel bosco, ma una svolta panoramica del sentiero rivolta a sud-est ci ospita per una pausa pranzo e caffè generosamente irraggiata di sole. Eccellente opportunità per stendere anche i panni umidi ad asciugare. Diversi escursionisti, per lo più tedeschi, entrano ed escono salutando dalla nostra installazione abusiva.
Facciamo bene ad approfittare delle condizioni favorevoli finché durano. Dopopranzo il meteo sembra ricordarsi delle previsioni ed il cielo inizia rapidamente a chiudersi.
Mentre saliamo ancora verso i 1300 metri di quota del Genna Masoni Orgiu incontriamo due bike packers che stanno percorrendo la Transardinia in direzione opposta su biammortizzate ben equipaggiate.
– Sì beh, ogni tanto anche noi abbiamo fatto delle deviazioni… A Ulassai abbiamo trovato un guado di due metri. Lui magari sarebbe anche passato, ma io non me la sono sentita. Abbiamo dovuto trovare un’altra strada.
Il suo compagno di viaggio annuisce gravemente a validazione del resoconto, ma senza aggiungere spiegazioni su come avrebbe spostato se stesso, bici ed equipaggiamento attraverso due metri d’acqua in movimento.
Ci separiamo augurandoci buona fortuna e raggiungiamo il secondo altipiano della giornata che già inizia a piovere. Pioggia leggera, ma in combinazione con il drastico calo della temperatura ci costringe a mettere mano all’abbigliamento pesante. Il terreno è buono e scorriamo facilmente il brullo e aperto saliscendi nonostante il vento sostenuto, in un’atmosfera splendidamente remota.
– Allora Giova, qui abbiamo 3 possibilità: possiamo lasciare la Transardinia e prendere la strada normale, seguire la Transardinia dritti verso sud oppure prendere una variante che hanno fatto alcuni ciclisti risalendo più in alto verso est e in direzione dei monti sopra… Villagrande Strisaili.
– Boh, la Transardinia sale?
– No… aspetta controllo… No, è tutta in discesa nel fondo valle e poi sbuca fuori su asfalto. Però è molto più corta che non fare la strada asfaltata. Son tipo sette-otto chilometri…
– E vabbè allora mi sembra che sia una scelta poco dubbia.
E quindi giù, in veloce discesa su asfalto fino al torrente. L’asfalto, via via più danneggiato, scompare del tutto a favore di una più schietta carrareccia bianca, la quale va a sua volta stringendosi e mescolandosi all’erba dei prati che tappezzano rigogliosamente i versanti della valle.
– Ma di qua è?
– Boh, la traccia [sul GPS] sarebbe dall’altra parte del torrente… Ma non so dove l’abbiamo persa…
Il torrente è ampio, ma per nulla profondo. Lo guadiamo con facilità e sulla sua sinistra indentifichiamo un trottatoio stretto tra arbusti bassi e densamente distribuiti e cosparso di grossi ciottoli fluviali (indubbiamente il risultato di qualche piena del torrente) come il miglior candidato a sentiero da seguire. Inevitabilmente spingendo le bici.
Il luogo è molto bello. L’esercizio, piuttosto estenuante. Per lo meno, il sole è tornato a farsi spazio tra le nuvole. Alle sei e mezza, incrociamo un piccolo spiazzo libero e sopraelevato, all’immissione di un limpido torrente secondario che scende da un versante. Non occorrono lunghi confronti tra di noi per concludere che per oggi siamo arrivati a destinazione.
Scaldati dai raggi del tramonto, lasciamo che il nostro accampamento si espanda colorato di panni ad asciugare su alberi e arbusti. Mentre l’acqua si scalda sul fornello, ci laviamo rilassati nel torrente tiepido. È appena l’imbrunire quando diamo la prima forchettata al mezzo chilo di pasta al pesto che la piccola gamella si è prodigata di contenere e cuocere.
William sbuca dagli arbusti mentre sto portanto la prima forchettata alla bocca. Ha una gravel poco comodamente appesa alla spalla destra e lo sguardo a metà strada tra il l’incredulo e il deluso.
– What is this, guys?
Ha con sé una tenda, ma niente cibo e non si capacita di essersi venuto a trovare in una situazione del genere seguendo la traccia di un perscorso che si promuove come “bike packing”.
– Ho viaggiato in bici per l’Africa e una cosa così non l’ho mai vista! Anche là c’era sempre qualche chiosco ogni tanto per comprare da mangiare.
Gli offriamo a più riprese di condividere la nostra cena e altre riserve, ma William è irremovibile. Ritiene che il fardello sia soltanto suo e accettare equivarrebbe a scaricarne il peso. Inoltre ha fretta. È venuto dalla Svizzera con soli quattro giorni di vacanza per l’intera traversata dell’isola.
– Dovrebbero mancare un paio di chilometri alla strada. Poi da lì posso proseguire fino al primo paese e comprare qualcosa.
Ho l’impressione che il suo sguardo tradisca la voglia di fermarsi, ma forse è solo perché è quello che farei io. Non insistiamo oltre. William ci saluta e sale in sella in un automatismo che aggiunge una nota quasi teatrale alla sua disavventura. Un paio di incerti colpi di padale contro i grossi ciottoli del sentiero e poi la bici torna appesa alla spalla.
In effetti, questo tratto della Trasardia mi ricorda un po’, per sensazione di remotezza e tipo di terreno, un’altra piccola avventura di qualche anno fa, sul passo andino Rio Mayer.
Laviamo le gamelle e completiamo la nostra routine serale a crepuscolo inoltrato. Domani, con calma, ce ne tireremo fuori anche noi. Nel frattempo, a stomaco pieno e con il solo sottofondo dei gorgoglii dell’acqua, il nostro bivacco odierno mi sembra semplicemente magnifico!
- Bau iiimandara, 200 km, 4200 m di ascesa
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