Un capro espiatorio

24 April 2025

24 aprile 2025

La pioggia è leggera leggera. Quanto basta per chiamarsi pioggia, ma non abbastanza da bagnarci. L’atmosfera umida e odorosa di cui è impregnato il bosco è dovuta più che altro alla notte scorsa.
Saliamo nel dolce canolone che chiude la valle e il calore che produciamo ci tiene asciutti. La carrareccia di terra battuta è a più riprese erosa su entrambi i lati da squarci torrentizzi nel suolo, profondi anche un paio di metri. A tratti il residuo di percorso si stringe in istmo largo appena a sufficienza per una bici. “Sarà percorribile fino in cima sto sentiero?”
Ce lo chiediamo per tutta la durata dell’ascesa, qualche volta interlocutoriamente ad alta voce, ma soprattutto in silenzio meditativo e speranzoso.
Con sollievo, il sentiero si riallarga e scollina uscendo dal bosco.

– È tanto rosso il naso? – Giova mi ricorda che ieri effettivamente è stato soleggiato.

La carrareccia su cui proseguiamo punta a sud-est, a favore di vento, e si mantiene ondulatamente in quota fino a tuffarsi trecento metri più in basso per incontrare il rio Girolamo. Nel falso piano del fondo valle l’erba alta nasconde il tracciato e si accorda con il sole per un’entrata calcolata da uno squarcio tra le nuvole. Il risultato è una veduta campestre piuttosto d’effetto.

– Ma lì l’acqua è quasi al ginocchio, o no?
– Mi tolgo anche i pantaloni da bici. La corrente non è forte.
– Ieri daltronde non ci siamo lavati… Vabbè, ma a quanto può arrivare quest’acqua?

Abbiamo cercato a monte e a valle alternative per guadare il torrente Girolamo, ma solo per concludere che il punto indicato dalla Transardia è il più sensato. A gambe e piedi nudi mi avvio ad attraversersare, per prima cosa solo con alcune borse.
– E’ sopra l’inquine!

Traffichiamo avanti e indietro per un po’ con le varie componenti dell’attrezzatura a mutande ormai zuppe. L’assenza di pericolo e le condizioni meteo confortevoli fanno dell’esercizio un gioco. Vi ci dedichiamo senza fretta.
Per la traduzione della bici sull’altra sponda, Giova sceglie l’approccio in alto sopra la testa.

– Io ti guardo e vedo se m’ispira.

Osservo la barcollante e prolungata prova di forza. Giusto a un passo dalla riva opposta, il greto sprofonda constringendo ad un certo impulso muscolare per riemergere all’asciutto. Limitato dalla necessità di tenere la bici in equilibrio sopra di sè, Giova si incaglia e il suo esperimento sembra sul punto di fallire con grossi schizzi. Anzichè aiutarlo, affronto anch’io il guado, con la bici però in acqua, sul mio lato di valle.
– Non mi ha convinto il tuo metodo. – Gli dico mentre risaliamo assieme la sponda opposta. – Ma diciamo che la tua bici è asciutta!
– Non so come cazzo ho fatto!

La recinzione che costeggia il torrente dal lato da cui siamo arrivati è tappezzata di rami e foglie, detriti verosimilmente intrecciati nella rete da una piena. A quel livello dell’acqua sarebbe stato impossibile attraversare.
Sembra una cosa recente, per cui speculiamo che questo potrebbe essere il guado che ha sbarrato la strada ai ciclisti incontrati un paio di giorni fa. Hanno parlato di Ulassai, che da qui dista appena sei chilometri in linea d’aria.

Ci cambiamo, rivestiamo, qualche biscotto, e via a risalire. Arriviamo a Perdasdefogu poco dopo l’ora di pranzo. Il paese è semideserto e trasmette una sensazione di abbandono. Al contempo, la moltitudine di murales, insegne e striscioni testimoniano lo sforzo civico della piccola comunità.
Interpellata sull’offerta di bar e alimentari, una donna sulla quarantina ci informa quanto agli orari di apertura delle varie attività. Nulla prima delle tre e mezzo. In realtà, non ne avremmo bisogno, ma abbiamo preso l’abitudine a fare una piccola sosta dopo ogni tratto un po’ più lungo e impegnativo, per rifornimento e per scambiare qualche parola con le persone del posto.

Ci installiamo su una panchina in cemento e mettiamo mano al materiale topografico. La Transardiania ci condurrebbe di nuovo a sentieri, verso Armungia, in un saliscendi su dislivelli piuttosto contenuti, ma con pendenze importanti e l’incognita di quanto impervio possa farsi il terreno. Il rischio di ritrovarci ad affrontare un tratto come quello delle valle del Bau – con in più la pressione di doverci sbrigare per arrivare a Cagliari – non ci attrae per nulla.
Scartata dunque la Transardia, restano come opzioni la proviciale 13 in direzione Escalaplano e il cammino attraverso l’altipiano a sud di Perdasdefogu, intrapreso già da altri ciclisti le cui tracce contribuiscono a colorare lo schermo del mio GPS.
– Però Giova, è strano… Sulla mappa tutta st’area dove passeremmo è marcata in rosso e il GPS non mi fa calcolare nessuno percorso lì dentro. I sentieri e le strade ci sono, ma usano simboli diversi. Boh, non capisco…
– E gli altri ciclisti ci sono passati?
– Eh sì…
– E sarebbe in fuori strada?
– Non lo so… Non so come interpretare sto tratteggio… Comunque, a occhio, dalle isometriche, si sta sempre in alto. Non ci sarebbe tanta salita.
– Ma scusa, a me Google Maps mi ci fa passare per andare a Ballao.
– Ah… Salita?
– Mi dà duecentocinquanta metri.

La signora con cui avevamo parlato entrando in paese ci ha raggiunto nella piazzetta e, chiedendo scusa per l’interruzione, corregge alcune delle informazioni che ci aveva dato e aggiunge ulteriori dettagli circa la gastronomia dei vari esercizi. Mentre ancora ci sta parlando mi distraggo a chiedermi quale sia l’ultima volta che ho ricevuto questa cortesia nel giungere in un posto nuovo.

Seguo Giova e Google Maps oltre i bar di Perdasdefogu fino ad un ampio piazzale chiuso sul lato sud da due cancelli. Oltre la recinzione ed il filo spinato, un jet è installato in bella vista, inclinato con la prua diretta verso il cielo. Tra un cancello e l’altro, un monolite riporta la scritta “Poligono Sperimentale Interforze”. A scanso di equivoci, altri cartelli poco più in là recitano perentoriamente “Zona militare, divieto di accesso, sorveglianza armata”.
Giova descrive circonferenze nel piazzale cercando di intendersi con l’orientamento del suo telefono.
– Ma può essere?
– Anche le tracce degli altri ciclisti passano per quei cancelli… ma direi che non è cosa.

Per me, l’opzione attraverso l’altipiano aveva già cessato di essere un’opzione. Però, non per il mio compagno di viaggio.
Giova prende la strada che dal piazzale gira a sinistra marcando il perimetro est della zona militare. Lo seguo con spirito disilluso. La strada è in leggera discesa. Proprio mentre faccio presente che poi ce la dobbiamo rifare in salita, la rete di cinta scarta ad angolo retto e alla nostra destra si apre una strada senza nessuno sbarramento fisico.
Rassicurato dalle istruzioni di Google, Giova infila la strada senza rallentare e supera con sicurezza il cartello che elenca i divieti vigenti. Tra gli altri, attira la mia attenzione quello di accesso. Anche quelli relativi a fotografia e cinematografia mi sembrano piuttosto rilevanti.
Smonto in corsa la fotocamera che porto usualmente sul manubrio e la metto in tasca rassicurandomi mentalmente “Vabbè, se anche c’è un esercitazione in corso, ci avranno visto entrare… Ci raggiungono e ci arrestano, spero…”

Invece, il nostro passaggio non genera nessuna reazione visibile. Poco oltre, incontriamo un posto di blocco dall’aria in disuso. Pedalando, scorro più in dettaglio la mappa del GPS e noto che, all’interno dell’area rossa dell’altopiano, ci sono anche percorsi di mountain-bike categorizzati per grado di difficoltà. L’idea che militari e moutainbiker condividano la stessa palestra mi sembra sufficientemente assurda da rilassarmi.
L’unico ostacolo apprezzabile ce lo offre il vento. La nostra rotta non gli è contraria, ma la strada è ondivaga e ad ogni svolta verso ovest le sferzate ci frenano improvvisamente e con notevole efficacia. Quanto al fischio nelle orecchie, quello è onnipresente e ci obbliga ad urlare per comunicare anche a pochi passi di distanza.

– Questo è un pezzo di quel coglione di Giorgio!

L’invettiva di Giova sfoga la frustrazione per questa strada che gli occhi giudicano facile, ma che si sente drenante nei muscoli e irritante nelle orecchie. Giorgio e compagni ovviamente non c’entrano nulla, loro passarono chilometri più a ovest. Ma Giorgio è un caproespiatiorio astratto e in quanto tale non può contestare. Controvento è meglio di niente.

La vista d’altro canto è splendida. Il cielo limpidissimo è solcato da nuvole bianche, il terreno ondulato e verdeggiante di bassi arbusti si mostra nitido e dai punti più elevati si riesce a sbirciare giù nelle valli morbide che circondano l’altipiano.

Più o meno all’altezza del secondo posto di blocco deserto, lasciamo la strada che prosegue in quota e iniziamo a scendere, prima su sterrato e poi di nuovo su asfalto. Tornanti dolci dettano il ritmo ai nostri cambi di visuale sull’ampia valle morenica sotto di noi, illuminata dai raggi obliqui del tardo pomeriggio. Uno scenario semplicemente maestoso in cui ci immergiamo gradatamente, fino a trovarci a scorrere nei prati della piana di fondovalle, lussureggianti e punteggiati di fiori colorati.

 

  • Ballao, 318 km, 6200 m di ascesa

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