Di ostacolo in ostacolo

23 April 2025

23 aprile 2025

Perlustriamo la rete fino a dove i versanti della valle si fanno lentamente più ripidi su entrami i lati del torrente. Lo sbarramento taglia di traverso la valle incluso il largo torrente nel mezzo. Nessun varco. Evidentemente non è previsto che passino animali, senza eccezione per i ciclisti.

– Ma quell’altro come avrà fatto?
– Prima cosa, avrà pianto.
Il nostro pensiero andrà spesso a William nelle quasi due ore che impieghiamo a districarci dal paio di chilometri che separano la strada asfaltata dal nostro accampamento di ieri notte, dove lo abbiamo incontrato.

In alcuni punti la rete è afflosciata e anche il filo spinato a tratti si interrompe. Sfruttiamo queste vulnerabilità e ci ritroviamo a valle dell’ostacolo senza grosse difficoltà.
– Sì… ma adesso, appena fatta colazione, col sole e riposati… Ti immagini ieri sera al buio?
Ad ogni modo, significativamente più graffiati di prima su braccia e gambe, ritroviamo con una certa gioia la noia di scorrere su monotono asfalto fino a Villanova Strisaili. Al primo bar del paese rifacciamo colazione serviti da una signora con fare materno.

Da Villanova ancora asfalto, prima in dolce sali-scendi fino a incontrare la punta meridionale del lago Bau Muggeris, e poi via a salire in direzione sud ovest.
Dopo il rallentamento di ieri e stamattina nella valle del Bau, e afferrata la talentuosa capacità della Transardinia di offristi tanto come strada quanto come distesa omogenea di sassi e arbusti, abbiamo deciso di evitare per un poco tutte le varianti del percorso in fuori strada e ridurre la distanza che ci separa da Cagliari. Questo ha implicato abbandonare i nostri compagni di viaggio letterari: i ciclisti dei fogli stampati e sempre più mal conci di Giova. Loro, i Monti del Gennargentu li scavalcarono, noi invece li stiamo schivando. E un po’ ci dispiace. Per non riununciare proprio del tutto, consteggeremo il Gennargentu giusto all’interno del suo perimetro meridionale, sulla traccia di una variante della Transardinia sul mio GPS. La destinazione è Seui, dove loro alloggiarono. Riprenderemo ad accompagnarli da lì. 

Saliamo a lungo, spazzati da un moderato vento da nord-ovest. Quando stiamo per incrociare un pickup della Forestale, questo sbanda per un istante a destra, come ad evitare una buca improvvisa. Oltrepassata l’auto vedo sull’asfalto una biscia che si contorce. E’ schiacciata poco sotto la testa. Ci rifletto qualche istante e poi decido di darle il colpo di grazia. Solo ripartendo mi accorgo che il pickup è fermo a una cinquantina di metri e, anzi, ha inserito la retromarcia. “Merda, sicuro era una di una specie protetta…”. Mi affianco al lato guidatore per scoprire la dimensione del guaio in cui mi sono cacciato e trovo un giovane in divisa con l’espressione afflitta.

– L’ho presa vero?
– Eh sì… l’ho uccisa perchè credo sofrisse.
– Cavolo…
– Beh, succede…
Provo una gran simpatia, che in un viaggio più lungo e lento mi farebbe fermare ad ascoltare. Ma Giova è scomparso alla vista e venerdì vogliamo essere a Cagliari. Peccato.

Quando stiamo ormai per scollinare Giova mi indica l’unico fabbricato di fronte a noi. E’ su un promontorio che lo alza di una decina di metri rispetto alla strada, a cui è collegato da una stradina bianca.
– Secondo te è una casa?
– Boh, mi sembra di sì, diamo un’occhiata?

Scopriamo così il piccolo Rifugio Pitzu e X’Ilixi. Un bivacco molto ben tenuto con una vista maestosa sulle valle sottostante, oggi inondata da un sole risoluto a farne brillare il verde primaverile. Fosse sera, ci installeremmo senza pensarci, ma è solo ora di pranzo. Ne approfittiamo allora per rifocillarci al riparo dal vento insistente e per fare un po’ di manutenzione alla mia bici.

Nel pomeriggio torniamo quasi subito su sterrato. Carrarecce scorrevoli, ideali per i nostri mezzi. Sono gli ostacoli e gli sbarramenti che di tanto in tanto incontriamo a causarci il maggior rallemento e a sottrarci più energie. Al primo cancello che troviamo chiuso col lucchetto, discutiamo il da farsi. Io sono per portare prima le borse e poi le bici scariche, su e poi giù per le ripide scalette a pioli che scavalcano la rete a pochi passi dal cancello.
Il mio compagno di viaggio però, è sicuro delle sue capacità. Persuaso dal suo fare determinato, mi limito a portare me stesso dall’altra parte dello sbarramento.
Una dopo l’altra, Giova solleva le bici cariche oltre le sue spalle e oltre il cancello, dove non devo fare altro che accompagnarne la discesa.
Al secondo cancello, il protocollo è collaudato.

Usciti da un breve single-track, ci troviamo ad attraversare un ponte ferroviario, oltre il quale proseguono solo i binari. Non c’è nulla di serenamente percorribile, salvo ad avere un treno. La ferrovia è chiaramente in disuso e non c’è pericolo, ma è comuque notevole come ci siamo abituatuati all’imprevedibilità del percorso. Non siamo per nulla sorpresi e sperimentiamo subito vari approcci all’insolito terreno. A un tratto mi giro e scopro che Giova ha rinunciato a spingere la bici, è risalito in sella all’interno dei binari e procede sobbalzando al ritmo cadenzato delle traverse. Scoppio a ridere, ma poi non rinuncio a cimentarmi a mia volta.

 

Rientrati nel bosco e su terreno più consueto, a un bivio Giova mi interroga sulla direzione.
– E’ questo di qua il sentiero nostro?
– No, sulla mappa quello non è manco un sentiero.
– Vabbè, non che questo voglia dire qualcosa per la Transardinia!

Incontestabile. – Sospetto che la Transardinia sia fatta esattamente sulla base del percorso di Giorgio.
Già prima di parlarne esplicitamente, era chiaro che ci stiamo basando ogni giorno di più sul racconto portato da Giova per stimare quello che ancora ci attende e per misurare i nostri progressi. In più, ieri ho notato che il tracciato della Trasardinia integrato nella mappa OpenStreetMap sul mio GPS è diviso in segmenti. Ogni segmento inizia e finisce immancabilmente in corrispondenza delle località dove i ciclisti del racconto hanno pernottato. Ora, considerato che il racconto riporta il viaggio al 2005 e attribuisce a tale Giorgio il ruolo di guida, non è impensabile che sia proprio questi ad aver dato vita al tracciato che, in differita di vent’anni, stiamo cercando di ricalcare. Mi piace pensare che sia così.
Il problema è che i commenti su Giorgio, fatti da chi ha il racconto lo ha scritto, sono solo per la maggior parte di riconoscenza. Nelle ultime pagine, quando nel racconto vanno aumentando le note sulla stanchezza accumulata, compaiono anche delle gentili critiche dal tono “Giorgio è allergico all’asfalto” oppure  “è fissato con I single track e quindi ci porta risalire sulle cime più alte per il solo gusto della discesa” o ancora “lo seguiamo solo per vedere fino a dove vuole veramente spingersi”.
Un pioniere insomma, ma probabilmente non il più premuroso.

Nel piccolo e stipato alimentari, a Seui, in cassa c’è un uomo sulla settantina. Giova, attento alle cortesie transgenerazionali, gli si immola a uditore paziente. Nel frattempo, ci pensa la moglie a servirmi al banco.
– Ce l’ha un formaggio che tenga fuori dal frigo?
– Beh, il pecorino.
– Giusto… Dovrei confrontarmi col compare, ma mi sa che è impossibile. Mi dia metà di quel pezzo, per favore.

Le borse si rigonfiano di viveri e noi ridiscendiamo ai piedi e a sud dell’arrocato paesino alla ricerca di uno spiazzo dove accamparci. Il tempo sta rapidamente peggiorando e anche il vento si è intensificato. Il signore dell’alimentari ha assicurato che resterà maestrale anche domani.

Siamo di nuovo sulla Transardinia di Giorgio e compagni.
– Secondo me, arriviamo a Perdasdefogu e poi prendiamo su asfalto. L’ultimo giorno delle Transardia è descritto come a spinta in salita e impossibile in discesa… Rischiamo di piantarci proprio quando il tempo stringe per arrivare a Cagliari.
– Per me guarda… qui è bello ovunque! E poi, per il traffico che stiamo trovando per strada… Non mi sembra serva andare a sentieri. Sicuramente non quelli che piacciono a Giorgio!

 

  • Seui, 260 km, 5130 m di ascesa

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